domenica 14 ottobre 2007


di Carlo Ravanello

Abbiamo appena superato, con la stagione
produttiva da poco terminata, la rituale querelle
annuale che vede in campo i consumatori di ciliegie
contrapposti ai produttori e ai commercianti del
purpureo prodotto.
La querelle, come tutti gli altri anni, si è con-
clusa con un nulla di fatto, salvo riaprirsi,
puntualmente, la prossima stagione e, abbia-
mo ragione di ritenere, per tutti gli anni a
venire. Nella realtà, infatti, mentre da una
parte le associazioni dei consumatori hanno
tuonato che è assurdo avvicinarsi a un pro-
dotto che non raramente ha sfiorato i 10/12
Euro al kg, dall’altra non c’è casalinga itali-
ca (il mercato, in definitiva, lo fa lei) che non
abbia acquistato quasi furtivamente almeno
una manciatina del frutto scarlatto perché
chissà che non faccia riprendere un po’ di
colore a quel figliolo sempre così pallido. A
parte gli scherzi quindi, è un dato di fatto
che tutti noi indugiamo in una sorta di aspet-
tativa ansiosa legata all’arrivo del simbolo
più evidente della nuova stagione e con esso
percorriamo un breve percorso che – ahinoi –
si conclude sempre troppo presto con l’arrivo
del famigerato “Giovannino”. Il fragile desi-
derio segreto legato alla prima ciliegia di sta-
gione, si dissolve allora rapidamente nel
mare magnum delle grandi drupe estive. Al
diavolo quindi quella piccola, forse assurda,
spesa, a fronte di un piacere sottile che affon-
da le sue radici nei momenti più belli della
nostra infanzia! Anche perché, a ben vedere,
il consumo medio annuo pro-capite italiano è
di poco più d 2 kg.: una sciocchezza.
Per saperne di più
Il ciliegio (Prunus avium L.), le cui prime
notizie si hanno in Egitto nel VII° secolo a.C.
e poi in Grecia nel III° secolo a.C., viene oggi
coltivato in Europa, Asia, Australia e
America.
In Italia, dopo un periodo di alterne vicende,
la coltura del ciliegio attraversa attualmente
un buon momento. La superficie nazionale è
ormai prossima a 30mila ettari e la produ-
zione è attestata intorno alle 150mila tonnel-
late medie annue. Sul territorio nazionale, il
ciliegio si concentra principalmente in 4
regioni Veneto, Emilia-Romagna, Campania
e Puglia, che da sole costituiscono oltre
l’80%della produzione italiana di ciliegie. La
produzione italiana, è una delle maggiori a
livello mondiale, con moltissime varietà
diverse, fra le quali ricordiamo le Bigarreau
(reperibili da maggio a giugno), le Nero
(reperibili a giugno, tipiche della zona di
Vignola), le Anella (reperibili da fine maggio
a giugno, croccanti e succose), le Ferrovia
(disponibili a giugno, tipiche della Puglia), le
Marca (disponibili da giugno a luglio, utiliz-
zate principalmente per la conservazione
sotto spirito).
In maniera del tutto anomala si muove la
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Degustandibus
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Il Sommelier - Anno XXV - n. 5/2007
Sicilia che, partita un po’ in ritardo, si pro-
pone sul mercato nazionale con una quota
pari a meno del 2,5 % del totale produttivo
(3.500 tonn.), caratterizzata però da una
elevatissima qualità legata alle eccezionali
produzioni del nord-est isolano e, più preci-
samente, del territorio etneo. A questo pro-
posito la provincia di Catania si sta moven-
do in maniera molto moderna attivando tutti
i canali scientifici, agronomici e commerciali
di cui dispone per ricavarsi uno spazio che
non sia solo quello di una pura e semplice
presenza sui mercati ma piuttosto quello di
un’offerta qualitativamente eccellente.
Con l’interessamento della stessa Università
di Catania, che si è fatta parte attiva sull’ar-
gomento, dando sostegno a tutte le iniziative
di settore e contribuendo in maniera deter-
minante alla formulazione di un’interessan-
tissima tesi di laurea presentata nel corso
dell’anno accademico 2005-2006 dalla d.ssa
Rita Patanè alla facoltà di Economia, Corso
di Laurea in Economia e Commercio, relato-
re il chiar.mo prof. Placido Rapisarda, dal
titolo “Agroalimentare in Provincia di
Catania - Il Ciliegio”. Con questa ricerca,
che non è solo compilativa ma ricca di spun-
ti territoriali ed ambientali, a dimostrazione
di una vera analisi effettuata “sul campo”, la
Patanè riesce a coinvolgerci nella micro-real-
tà produttiva della “Ciliegia dell’Etna”
(circa 2.000 q.li di prodotto ottenuto da una
quarantina di aziende intimamente legate in
un agile tessuto associativo nato nel settem-
bre 2003 e presieduto dalla d.ssa Ivana
Sorge-Lo Giudice e riunite in uno specifico
Consorzio voluto e condotto dall’on. Salvino
Barbagallo nel marzo 2004). Motivo di vanto
per Salvino Barbagallo, già responsabile
dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della
Regione Siciliana, è l’ottenimento a livello
nazionale, da parte delle ciliegie prodotte nel
territorio etneo, della concessione provviso-
ria nazionale avvenuta nel dicembre 2006
per l’utilizzo del marchio “Denominazione
di origine protetta” (DOP), che tutela tanto
i consumatori quanto gli imprenditori e
quanti commercializzano i prodotti.
La DOP “Ciliegia dell’Etna” – sono le parole
della d.ssa Patanè– è attribuita ai frutti del
ciliegio dolce “Prunus avium L.” famiglia
delle Rosacee. La coltivazione del ciliegio,
nell’area considerata composta dai comuni
di Giarre, Riposto, Mascali, Fiumefreddo,
Piedimonte Etneo, Linguaglossa, Castiglione
di Sicilia, Randazzo, Milo, Zafferana Etnea,
S. Venerina, S.Alfio, Trecastagni, Viagrande,
Aci S.Antonio, Pedara, Nicolosi, Adrano,
Biancavilla, S.Maria di Licodia, Paternò,
Belpasso, Acireale e, non ultimo, il Parco
dell’ Etna, fa riferimento ad una piattaforma
varietale composta dalle seguenti tipologie
locali o ecotipi: la Mastrantonio, la
Raffiuna, il gruppo Napoleona (precoce-
verifica-forestiera) e la Maiolina.
La fascia collinare dove si sviluppa la colti-
vazione delle ciliegie è compresa fra i 400 e i
600 metri, ma non sono rare presenze pro-
duttive intorno ai 1.200 metri e più. Il perio-
do di raccolta è abbastanza articolato, distri-
buito fra le varie cultivars, dall’inizio di
maggio (Maiolina) a luglio inoltrato
(Mastrantonio). La singolarità e nel contem-
po la variabilità di situazioni pedoclimatiche
ed antropiche del territorio agricolo etneo –
sono ancora parole della Patanè– caratteriz-
zano la qualità del frutto, conferendogli
parametri intrinseci, gustativi, fisici e chimi-
ci esclusivi. Oltre all’ambiente naturale, il
fattore uomo, con la sua secolare tradizione,
la fatica a trasformare le “sciare” (dall’ara-
bo shahar, terra bruciata, selvaggia) in ter-
reni fertili, ha contribuito in maniera deter-
minante a caratterizzare il forte legame tra
la “Ciliegia dell’ Etna” ed il territorio stesso.
L’esposizione a est-sud-ovest, l’elevato grado
d’insolazione, i terreni sabbiosi a reazione
sub-acida di origine vulcanica recuperati
dall’industriosa popolazione che, con
paziente lavoro di scasso, di sistemazione di
muri e terrazzi, con la captazione di acque
sotterranee, ha saputo rendere produttive
estese superfici di lave aspre e brulle, i venti
dominanti e l’umidità, conferiscono al frutto
antropizzato in tale area, particolari carat-
teristiche di qualità, precocità, forma, colore
intenso tipico del territorio, sapore croccan-
te e deciso, difficilmente riscontrabili in altre
zone di produzione.

Il ciliegio
(Prunus avium
L.), le cui prime
notizie si hanno
in Egitto nel
VII° secolo a.C.
e poi in Grecia
nel III° secolo
a.C., viene oggi
coltivato in
Europa, Asia,
Australia e
America
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